Biennale Democrazia http://2013.biennaledemocrazia.it Tue, 03 Mar 2015 14:34:14 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.3 Il racconto della Costituzione http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/05/14/il-racconto-della-costituzione/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/05/14/il-racconto-della-costituzione/#comments Tue, 14 May 2013 14:13:16 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4395 Immagine_moncalieri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Articoli della Costituzione italiana, testi civili e dialoghi letterari in scena.
Un’azione teatrale collettiva a cura di Gianni Bissaca (Itaca-Teatro)
Domenica 19 maggio, ore 21.00, Fonderie Teatrali Limone – Moncalieri
Ingresso libero

 

www.comune.moncalieri.to.it

 

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I cittadini premiano la Democrazia http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/16/i-cittadini-premiano-la-democrazia/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/16/i-cittadini-premiano-la-democrazia/#comments Tue, 16 Apr 2013 10:22:48 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4387 biennaledemocrazia-1941--330x185Siamo davvero felici solo quando pensiamo”. Le parole con cui Gustavo Zagrebelsky aveva aperto giovedì al teatro Carignano la terza Biennale Democrazia sono la sintesi migliore di questa edizione 2013, caratterizzata dall’entusiasmo, dalla voglia di esserci e partecipare delle migliaia di cittadini che hanno affollato ogni evento in programma.

I cinque giorni di Biennale Democrazia – un percorso di indagine sulle utopie contemporanee con oltre 250 protagonisti del panorama nazionale e internazionale – si sono dunque rivelati ancora una volta un’opportunità preziosa di riflessione e confronto per chi ha preso parte agli oltre 100 incontri proposti. Partecipazione significativa in particolare fra i giovani: 650 ragazzi delle scuole superiori impegnati nei 32 laboratori a loro dedicati, centinaia di universitari iscritti agli eventi in programma.

Inoltre la tecnologia ha permesso a migliaia di persone di seguire gli eventi online: oltre 6.000 “contatti” nei vari profili Facebook legati alla manifestazione, centinaia di tweet ogni giorno, numerose dirette streaming degli incontri, oltre ai migliaia di accessi al sito internet di Biennale. Ma anche i media tradizionali hanno avuto un peso importante, come confermano gli oltre 200 giornalisti accreditati, mentre la Rai ha quotidianamente trasmesso gli appuntamenti del Teatro Carignano sul canale Rai Educational.

Biennale Democrazia 2013 conferma quindi non soltanto la bontà della formula, il successo di una iniziativa culturale ormai consolidata, ma evidenzia in modo lampante il bisogno di occasioni di dialogo, spazi di circolazione del pensiero e delle idee.

Il tema dell’edizione – espresso dal titolo “Utopico. Possibile?” – è stato il filo conduttore che ha caratterizzato il calendario della terza edizione. “Il titolo sintetizza alla perfezione il respiro di speranza con cui ci si interroga sugli orizzonti ideali e sulle sfide che ci attendono”, aveva detto Gustavo Zagrebelsky presentando la scelta di un argomento all’apparenza complesso, ma che il pubblico ha mostrato di apprezzare.

La risposta entusiasta dei cittadini è la migliore conferma per Biennale Democrazia  – commenta l’Assessore della Città di Torino, Maurizio Braccialarghe – e la cultura si dimostra ancora una volta un’esperienza di aggregazione e di partecipazione che permette, ai torinesi come ai tanti ospiti appositamente giunti da fuori, di riconoscersi in una identità comune”.

E ora la Città già pensa ai prossimi appuntamenti e a nuove progettualità. “In un momento complesso come quello attuale è fondamentale, come nel caso di Biennale Democrazia, saper offrire contributi importanti per una riflessione nuova, diversa, moderna. Torino è una città in grado di cogliere e dare risposte al bisogno di ‘nuovi pensieri’ – conclude il Sindaco, Piero Fassino. “I cittadini hanno premiato la Democrazia, a noi il compito di premiare i cittadini con nuove occasioni di sapere e conoscenza. Perché Torino sia sempre più un laboratorio permanente capace di dare un contributo sostanziale al tempo di cambiamento che stiamo vivendo”.

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Melania Mazzucco e i grandi quadri dell’utopia http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/15/melania-mazzucco-e-i-grandi-quadri-dellutopia/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/15/melania-mazzucco-e-i-grandi-quadri-dellutopia/#comments Mon, 15 Apr 2013 09:11:03 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4381 800px-Ambrogio_Lorenzetti_002Per Biennale Democrazia la scrittrice romana ha raccontato tre importanti classici dell’utopia nell’arte figurativa, da Lorenzetti a Signac

Nella domenica che conclude questa edizione di Biennale Democrazia al Teatro Piccolo Regio la scrittrice Melania Mazzucco ha tenuto una lezione all’interno del ciclo “I grandi discorsi dell’utopia”.

L’autrice di Limbo e Il bassotto e la Regina (pubblicati nel 2012 da Einaudi), ha voluto parlare di tre grandi classici dell’utopia nelle arti figurative: Ambrogio Lorenzetti e i suoi affreschi nel Palazzo Pubblico a Siena, il francese Paul Signac e il quadro “Al tempo dell’anarchia” e infine il “Mondo nuovo” di Giandomenico Tiepolo.

LORENZETTI E IL PALAZZO SENESE

Melania Mazzucco inizia il suo intervento portando un esempio di utopia realizzata, o quantomeno realizzata in parte: la Siena del Trecento. Al tempo la città toscana era una repubblica che aveva raggiunto il suo massimo splendore nella vita economica e sociale. Ambrogio Lorenzetti, il quale decora la Sala della Pace all’interno del Palazzo Pubblico in Piazza del Campo – dove venivano prese le decisioni sul Comune – in questo affresco ci mostra quale fosse per lui il migliore dei mondi possibili, a cui Siena in parte corrispondeva.

Mazzucco, anche grazie alla proiezione in sala di immagini della decorazione, la interpreta insieme ai suoi simboli e significati, e infine riassume così: «Se la domanda per Lorenzetti era “qual è il segreto di un buon governo”, la risposta è che se si governa con giustizia, tutelando la concordia e il bene comune, la pace e il benessere verranno. Se si lascia che la legge non venga applicata facendo prevalere l’interesse particolare, il comune scompare, i cittadini attivi si trasformano in una massa informe e si instaura una tirannide». E conclude: «Lorenzetti ci insegna che il buon governo e il bene della società non sono degli automatismi e non possono essere imposti per programma, ma si fondano sulla singola persona e sulla coscienza che essa ha di sé e degli altri, sulla sua cultura e sui suoi ideali e valori».

L’ANARCHICO SIGNAC E IL MONDO CHE VERRA’

La seconda parte è invece dedicata al pittore parigino Paul Signac, protagonista del movimento anarchico particolarmente attivo a fine Ottocento in Francia. L’opera su cui Mazzucco vuole soffermarsi è “Al tempo dell’anarchia”, un dipinto realizzato a Saint-Tropez che vuole raccontare un’utopia che verrà, un speranza per il futuro.

La scrittrice la racconta così: «Una società dove ognuno sarà attivo, impegnato nel lavoro o nello svago. Ci sarà un rapporto pacifico con la tecnologia, messa al servizio dell’uomo e l’amore sarà libero. Il lavoro sarà uno strumento di liberazione, non di oppressione e il piacere sarà legittimo per tutti».

TIEPOLO E IL “MONDO NUOVO”

L’incontro si chiude con Giandomenico Tiepolo, pittore italiano delle seconda metà del Settecento, figlio del celebre Giambattista Tiepolo e il quadro in questione è il “Mondo Nuovo” del 1791.

Il mondo nuovo era una forma di lanterna magica montata nei giorni di festa che mostrava immagini straordinarie e fantastiche: «Tiepolo era attratto dagli imbonitori, da quelli che riescono ad attrarre l’attenzione della gente – dice Mazzucco – millantando qualcosa che in realtà non esiste. In questa lanterna magica erano promesse la visione di posti lontani, un mondo nuovo, diverso e anche un mondo alla rovescia. Tiepolo non ci fa vedere questo spettacolo perché nel quadro sono mostrati  invece gli spettatori di spalle, sono loro i protagonisti dello spettacolo senza saperlo, e gli spettatori sono il vero futuro al quale Tiepolo vuole offrire l’immagine di questa gente. Persone di tutti i tipi, manovrate da un ciarlatano, contagiati dalla smania di evasione e imboniti dalle promesse del mondo nuovo».

Infine Melania Mazzucco conclude con quest’ultima frase: «Il mondo nuovo non è mai quello promesso da un imbonitore, che cosa sia però il mondo nuovo Tiepolo non ce lo vuole dire, gli artisti offrono visioni però non vendono sogni».

Simone De Caro

Da www.digi.to.it – Il magazine on line dell’Informagiovani di Torino

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L’arte della guerra per il dibattito http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/14/larte-della-guerra-per-il-dibattito/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/14/larte-della-guerra-per-il-dibattito/#comments Sun, 14 Apr 2013 11:27:53 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4374 guernicaA Biennale Democrazia incontro al Teatro Vittoria sulla pittura nella sua funzione di rappresentazione, denuncia o esaltazione della peggiore invenzione dell’uomo

Il titolo di questo incontro, che si è svolto al Teatro Vittoria è probabilmente il più controverso di tutta Biennale Democrazia: “Dipingere Guerre”, a cura di Fiorenzo Alfieri e Luigi Bonanate. Alla fine, sicuramente l’aspetto controverso passa in secondo piano e si dispiega il mistero di come la guerra possa essere ospite della kermesse, nell’anno dedicato all’utopia.

GUERRA E PITTURA, MONDI CHE SI INCONTRANO

«La pittura di guerra è il terzo ‘genere’ di pittura per soggetto, prima ci sono la pittura religiosa ed erotica». Con questa precisione, Alfieri e Bonanate ci introducono in questo campo dell’arte: «La forza della pittura, soprattutto della pittura di guerra, è quella di colpire l’animo attraverso la vista, turbandolo o stimolandolo in base a quello che l’opera vuole rappresentare. In molti casi l’arte ha avuto una funzione sociale e politica nel rappresentare le guerre. È importante capire il tipo di dibattito politico che l’arte sviluppa».

I MAESTRI DELL’ARTE E LA GUERRA

L’incontro ovviamente ha mostrato alcuni dei più famosi artisti, ma non solo, alle prese con questo tema universale: partendo dai giorni nostri, con Gerald Richter e la sua rappresentazione dell’attentato dell’11/9, o Min Yung, artista cinese che raccoglie l’eredità di Goya, Manet e Picasso e delle loro fucilazioni, per rappresentare una moderna fucilazione dello stato cinese, dove però tutti sono rappresentati sorridenti e disarmati. Si passa poi da Pollock, non ancora giunto al suo celebre Dripping, che riprende La Guernica di Picasso in un suo quadro intitolato ‘War’. Ovviamente non poteva mancare Guernica, il quadro forse più celebre del mondo, assieme alla Gioconda, che ha fatto per la Spagna in guerra molto di più rispetto ad altre forme di protesta. Si passa poi a Otto Dix e alla sua critica feroce alla guerra, che invece non compare nelle opere dei suoi contemporanei Balla e Severini. Una delle opere di maggior forza, che raccontano con grande brutalità l’orrore della guerra, è quella degli ostaggi di Fautrier: rosee e dense figure astratte che rappresentano le teste, ormai decomposte, degli uomini che i tedeschi giustiziavano davanti all’ospedale psichiatrico dove l’artista era nascosto durante la Seconda Guerra Mondiale. Un’altra opera che merita di essere citata è i ‘Sentieri di Gloria’ di Kennington, artista inglese mandato al fronte per rappresentare la Prima Guerra Mondiale. Immagini di denuncia, anche in questo caso, che furono aspramente criticate dall’allora governo britannico. Ovviamente spazio anche ai pittori che la guerra l’hanno esaltata: Veronese, Vasari ed El Greco, che rappresentarono tutti e tre la battaglia di Lepanto, inserendo sempre l’aspetto divino, che aiuta l’esercito europeo a respingere i mori.

CONCLUSIONI

In conclusione, quali somme tiriamo da questo incontro? «Che la pittura di guerra ha sempre avuto una sua funzione politica – conclude Bonanate – e un desiderio di generare il dibattito. In democrazia è fondamentale che ci sia dibattito. L’arte rende pubblica la questione politica, perché non c’è cosa più nociva per la democrazia del segreto. Democrazia. È questo che fa l’arte, crea politica pubblica, favorisce il dibattito».

 

Nicola Veneziano

Da www.digi.to.it – Il magazine on line dell’Informagiovani di Torino

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Débat public: i cittadini fanno sentire la loro voce http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/13/debat-public-i-cittadini-fanno-sentire-la-loro-voce/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/13/debat-public-i-cittadini-fanno-sentire-la-loro-voce/#comments Sat, 13 Apr 2013 15:41:21 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4370 debat-publicConfrontarsi con i cittadini per migliorare la qualità delle decisioni pubbliche. È l’idea che sta alla base delle esperienze di democrazia partecipativa, come il Débat public in Francia, regolamentato da una legge del 1995. Uno strumento attraverso il quale i cittadini possono esprimere ai rappresentanti politici la loro opinione su una determinata scelta che inciderà sulla vita della comunità.

L’incontro Grandi opere: contestare, partecipare, decidere (sabato 13 aprile alle 21 al Teatro Gobetti) sarà un momento di confronto con esperti francesi che presenteranno il funzionamento di queste forme di democrazia diretta e illustreranno il bilancio di 15 anni della loro applicazione oltralpe.

A discuterne saranno Loic Blondiaux, presidente del comitato scientifico del Gis (Groupement d’intéret scientifique sur la participation du public aux processus décisionnels et la démocratie partecipative), Jean-Michel Fourniau, sociologo e direttore del Gis, Luigi Bobbio, docente di Analisi delle politiche pubbliche all’Università di Torino, Ilaria Casillo, ricercatrice del CNRS di Parigi e Iolanda Romano, ricercatrice e presidente di Avventura Urbana.

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Ferite a morte: l’amore contro il femminicidio http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/13/ferite-a-morte-lamore-contro-il-femminicidio/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/13/ferite-a-morte-lamore-contro-il-femminicidio/#comments Sat, 13 Apr 2013 14:12:38 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4366 fotoIeri sera al Teatro Regio lo spettacolo di Serena Dandini contro la violenza sulle donne, che ha coinvolto tante protagoniste del mondo dello spettacolo, della cultura e della società italiana

Scarpe rosse e un microfono. Una scenografia minimale, sobria, per raccontare il dramma del femminicidio. “Ferite a morte” è andato in scena così ieri sera al teatro Regio di Torino, tra gli eventi in programma per Biennale Democrazia.

A rendere omaggio alle tante donne vittime di violenza da parte degli uomini si sono alternate sul palco Ambra Angiolini, Susanna Camusso, Giorgia Cardaci, Assunta Confente, Lella Costa, Orsetta De Rossi, Alessandra Faiella, Germana Pasquero, Isabella Ragonese, Alba Rohrwacher, Chiara Saraceno, Paola Turci, Nadia Urbinati, Giovanna Zucconi e Serena Dandini, regista e autrice dello spettacolo. Quindici volti noti per dare una storia alla strage silenziosa, per donare una voce ad ognuna delle vittime, dal Messico a Caltanisetta, dall’Iran alla profonda Africa.

Filo conduttore della struggente lista delle donne assassinate, l’amore, incondizionato, anche nei confronti di un uomo violento. Racconti post mortem in prima persona, ricchi di dettagli sui delitti, eppure scevri di rancore. Ed ecco dunque che dopo i primi minuti di sconforto programmatico, la “Spoon River” dei femminicidi si spoglia di quei toni drammatici e diventa quotidianità, lieve corrispondenza tra amiche, la pagina trasognata di un diario, la lamentela frivola per un telefono cellulare che non ha campo.

Seppure da una prospettiva escatologica, il richiamo alla vita è fortissimo. Lo si percepisce nell’affetto, che in alcuni dei racconti traspare incredibilmente vivo nei confronti dei carnefici, così come nelle immagini proiettate sullo sfondo, volti di dive “vintage” in bianco e nero ricoperti di simboli più colorati che mai, quindi nella musica di intermezzo selezionata da Samuel Romano dei Subsonica, volto torinese per eccellenza della rappresentazione.

Non un’istruttoria su omicidi e violenze, non una commemorazione, bensì l’elogio dell’utopia per eccellenza: quel “No More” già presentato mesi fa in molte piazze italiane, un appello disperato e al contempo ottimista, affinché il dramma del femminicidio non si ripeta mai più.

Silvia Calvi
Da www.digi.to.it – Il magazine on line dell’Informagiovani di Torino

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Gli eventi del Carignano in onda e in streaming dopo un’ora su Rai Educational http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/13/gli-eventi-del-carignano-in-onda-e-in-streaming-dopo-unora-su-rai-educational/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/13/gli-eventi-del-carignano-in-onda-e-in-streaming-dopo-unora-su-rai-educational/#comments Sat, 13 Apr 2013 11:44:20 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4362 Seguite anche in streaming (in differita di un’ora dalla fine dell’incontro) gli appuntamenti di Biennale che si svolgono al Teatro Carignano mandati in onda da Rai Educational!

http://www.raistoria.rai.it/diretta_torino.aspx

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L’hip pop di Amir, Fankam e Ragazzi di via Agliè a Biennale: la democrazia a tempo di rap http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/12/lhip-pop-di-amir-fankam-e-ragazzi-di-via-aglie-a-biennale-la-democrazia-a-tempo-di-rap/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/12/lhip-pop-di-amir-fankam-e-ragazzi-di-via-aglie-a-biennale-la-democrazia-a-tempo-di-rap/#comments Fri, 12 Apr 2013 19:10:24 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4343 250px-Amir_Issaa_2011_cropped i ragazzi di via AglièA Biennale Democrazia si balla a ritmo di hip pop. Questa sera, al Piccolo Regio Puccini, alle 21.30, si esibiranno i rapper di seconda generazione: Amir Issaa, italo-egiziano, sarà accompagnato dal camerunese Fankam e dalla crew torinese de I Ragazzi di Via Agliè, un gruppo di artisti italo-marocchini, da sempre attivi sul tema dell’integrazione.

Abbiamo chiesto ad uno di loro, Antonio Santamorena, di farci da guida alla scoperta di questo incontro, tra democrazia, integrazione e musica.

I Ragazzi di via Agliè a Biennale: un riconoscimento importante del vostro lavoro artistico e di sensibilizzazione sulle tematiche dell’immigrazione e dell’integrazione…

Questo invito ci ha fatto molto piacere. Il nostro percorso artistico cerca di coniugare l’aspetto musicale con quello sociale. Cerchiamo di raccontare il nostro quartiere, la nostra città. Sono contento che il nostro messaggio arrivi e sia ascoltato.

Come fa la musica a diventare veicolo di integrazione?

Riteniamo che la musica sia una sorta di collante, di ponte tra realtà differenti. E’ possibile che persone con alle spalle contesti culturali e personali variegati si ritrovino su un terremo comune. In questo caso, facendo musica hip pop. Io vengo dalla Basilicata, gli altri componenti del gruppo, Younes e Yassin, sono marocchini. La musica è un vettore di idee e esperienze a volte anche divergenti, però, allo stesso tempo, una forma espressiva per guardare al di là di queste differenze nel segno del rispetto reciproco.

Qual è il rapporto di Torino con queste tematiche? La canzone “Torino nera”, che è anche la traccia che dà nome al vostro disco, è l’emblema delle vostre riflessioni al riguardo…

Devo dire che, per quanto ci riguarda, la città ha reagito positivamente. Riceviamo molti inviti per partecipare a eventi di sensibilizzazione. Il video di Torino nera è stato visualizzato 80 mila volte in circa due anni: un risultato che ci ha stupito, per una “piccola” realtà come la nostra, nata dal basso. Credo che il nostro messaggio, un invito ad andare oltre all’individuazione del “diverso” sempre come il “cattivo”, sia stato recepito.

Parliamo del vostro quartiere. E’ considerato una zona difficile; è così?

 Sicuramente ci sono ancora dei problemi, ma si possono superare. Attraverso la creazione di luoghi di aggregazione, come ad esempio i Bagni Pubblici di via Agliè, dove è nato il nostro progetto. E’ opportuno che le diverse generazioni si ritrovino per scambiarsi le loro esperienze, per conoscersi e, in questo modo, superare le paure e diffidenze reciproche. Questi luoghi esistono, ma ce ne vorrebbero di più.

I figli degli stranieri nati in Italia non sono automaticamente italiani. Possono ottenere la cittadinanza una volta raggiunta la maggiore età. A fine 2012 il rapper Amir, con il quale vi esibirete, ha rivolto un appello al Presidente Napolitano per riaccendere i riflettori sulla questione dello “ius soli”. Lei pensa che ci sia inerzia su questi temi da parte delle istituzioni?

Io sono fiducioso. Penso che ormai che i cittadini siano pronti a riconoscere che chiunque sia nato in Italia rappresenti una risorsa per il Paese. Suonando nell’ambito di diverse campagne e iniziative, tra cui “l’Italia sono anch’io”, ci siamo resi conto che questo è un tema trasversale a diverse forze politiche. Penso che la situazione cambierà presto. E sono contento di poter conoscere Amir: apprezzo molto questa sua battaglia per i diritti.

L’hip pop ha un largo seguito tra i giovani e i giovanissimi. Come mai riesce a parlare di temi importanti a generazioni che invece sembrano distanti da altri tipi di linguaggio?

L’hip pop ha una storia precisa: è nato in contesti di disaggio. E’, per “costituzione”, un linguaggio semplice e duro: si “sintonizza”, per così dire, sul sentimento di ribellione dei giovani e giovanissimi. Ma la sua efficacia non si esaurisce nella sua componente “distruttiva”. Occorre accompagnarla con un atteggiamento rivolto alla speranza. Come artisti sentiamo la responsabilità di comunicare ai ragazzi valori importanti.

Sta per uscire qualche vostro progetto nuovo?

Al di là delle nostre rispettive esperienze come solisti e di altre collaborazioni con diverse crew italiane, a breve uscirà il video di un brano già contenuto nel nostro album, che si intitola Nel nome del mio dio. E’ stato girato in una moschea e in una chiesa. Approfondiamo le due spiritualità nel segno di una possibile convivenza tra i due credi.

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Quando l’arte diventa utopia http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/12/quando-larte-diventa-utopia/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/12/quando-larte-diventa-utopia/#comments Fri, 12 Apr 2013 19:05:06 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4354 Chilli Moon Town, opera itinerante di Anna Galtarossa e Daniel Gonzalez

Chilli Moon Town, opera itinerante di Anna Galtarossa e Daniel Gonzalez

Al Circolo dei Lettori una serata dove quattro giovani artisti raccontano le loro opere, alla ricerca dell’Utopia.

Nell’ambito di Biennale Democrazia, ieri, venerdì 12 aprile, è andato in scena l’incontro “Arte come sogno, rivoluzione, cambiamento” dove, presentati da Luca Beatrice – critico, professore di storia dell’arte contemporanea all’Accademia Albertina e presidente del Circolo – sono intervenuti Rä Di Martino, Massimo Grimaldi e Anna Galtarossa & Daniel Gonzalez, che nelle loro opere si sono trovati spesso a stretto contatto con l’utopia.

Nell’introduzione alla serata, prima di lasciare la parola agli artisti e ai loro lavori, Beatrice ha cercato di spiegare alcune situazioni in cui, personalmente, l’arte e l’utopia hanno cercato di incontrarsi: allora la Land Art, con artisti come Robert Smithson, con i suoi pali acuminati nel deserto americano, o l’arte povera, con la lampada di Boetti, che si accende per 10 minuti l’anno, senza che nessuno sappia quando. O come Brian Sweeney Fitzgerald, un artista irlandese che voleva portare agli indigeni dell’Amazzonia un teatro dell’opera nella foresta peruviana. Esempi non casuali, che si intrecciano con i protagonisti della serata.

RÄ DI MARTINO

La prima artista ad intervenire è Rä Di Martino, romana residente a Torino. Nelle sue opere l’utopia traspare, un po’ come nella Land Art, come ricerca negli ampi spazi. Per questo motivo, attraverso la sua passione per il cinema, realizza dei video alla ricerca di spazi impossibili ed infiniti. Il suo lavoro si occupa per lo più di depistamenti, ovvero di cercare cose, oggetti, nei luoghi impossibili. Il lavoro che mostra al Circolo dei Lettori, ‘Copies Récentes de PAYSAGES ANCIENS’, si basa proprio su questo: un viaggio di anni nel nord Africa, documentando questi luoghi dell’impossibile. «La mia ricerca era partita da una foto di un turista, che mostrava le rovine del set di Star Wars in Tunisia. Da lì ho cominciato un viaggio che mi ha portato attraverso Tunisia e Marocco alla ricerca di altre rovine cinematografiche, abbandonate dalle produzioni americane ed europee. Intorno a queste rovine si è creato un micro mondo di persone, diventate anche protagonisti delle mie opere».

MASSIMO GRIMALDI

Il secondo artista che si presenta parla di una utopia realizzata e di un lavoro che sconvolge il sistema arte. Massimo Grimaldi nel 2009 ha vinto un premio da 700 mila euro del MaXXI, il museo di arte contemporanea di Roma. La sua opera? Il report in progress della costruzione di un ospedale di Emergency in Sudan.

I soldi per finanziare la costruzione vengono dal premio ottenuto da Massimo Grimaldi, il 92% di quei 700 mila euro: «Ad un certo punto mi sono posto una domanda: a chi serve un’opera d’arte? Avevo la volontà di dare una risposta, volevo essere interessato dalla realtà che ci circonda. In questo modo non solo ho realizzato un’utopia, ma l’ho fatto attraverso un ricatto morale, mettendo in discussione la moralità degli organizzatori e dei giudici – continua Grimaldi –. Come giustificare la mancata assegnazione del premio a chi userà il premio per realizzare un ospedale? Gli altri artisti dovevano giustificare la vittoria del premio, i giudici avrebbero dovuto giustificare la loro scelta, mettendoli di fronte a un dilemma morale».

ANNA GALTAROSSA & DANIEL GONZALEZ

L’opera di questi artisti, pittore e scultrice – ma utilizzando i termini in senso lato – è un lavoro che punta a mettere in relazione le persone, cercando di portare nella realtà fisica quello che avviene in una realtà virtuale.

Chilli Moon Town è una città galleggiante, fatta con 15 tonnellate di acciaio, 3000 bottiglie, in cui il pubblico consegnava dei messaggi, neon. Questa città galleggiante, situata nel laghetto di un parco di Città del Messico, è un progetto di grande partecipazione collettiva: una città che viaggia al posto dei suoi cittadini. Nel progetto degli artisti, l’opera sarebbe dovuta arrivare fino a New York, a Central Park. Per motivi burocratici, però, la cosa non è stata possibile: «Da questo rifiuto è nato City of Dreams – dice Daniel Gonzalez – una protesta gioiosa per Times Square, Union Square e Broadway, fino al municipio di New York. Avevamo preso un pullman e assieme a dei performer restando sul sottile filo della legalità, anzi, entrando nelle legge per aggirarla, abbiamo portato avanti questa protesta, chiassosa e gioiosa».

Nicola Veneziano

www.digi.to.it – Il magazine on line dell’Informagiovani di Torino

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Il futuro del giornalismo secondo Calabresi, Mieli e Annunziata http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/12/il-futuro-del-giornalismo-secondo-calabresi-mieli-e-annunziata/ http://2013.biennaledemocrazia.it/2013/04/12/il-futuro-del-giornalismo-secondo-calabresi-mieli-e-annunziata/#comments Fri, 12 Apr 2013 09:36:56 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=4339 futuroLa seconda giornata di Biennale Democrazia si chiude al teatro Carignano con i tre giornalisti e l’incognita dell’avvenire della carta stampata (in ogni senso).

L’utopia è il tema di questa edizione di Biennale Democrazia e utopico per molti è oggi conoscere quale sarà il futuro del giornalismo. Mario Calabresi, Paolo Mieli e Lucia Annunziata provano a raccontarcelo al Teatro Carignano in occasione della seconda giornata della biennale. L’incontro si avvia con Paolo Mieli, oggi presidente di Rcs Libri, che inizia la discussione con una premessa che vuole essere anche una provocazione: «I nostri problemi sono dovuti a Internet, ma è anche vero che oggi molti ci percepiscono come una casta, e per questo ci disprezzano».

 

UNA CASTA?

Lucia Annunziata è d’accordo con Mieli, ma preferisce sostituire al termine casta quello di “potere”, spogliandolo quindi del suo connotato negativo. Per la direttrice dell’Huffington Post Italia i giornalisti devono essere un potere, contrapposto a quello politico. «Il problema non è il potere ma la trasparenza. L’importante è metterci sempre la faccia ed essere giudicati per quello che si fa. Io, per esempio, ho sbagliato a dire “siete impresentabili” ad Alfano e l’ho ammesso pubblicamente».

Calabresi ricorda come siano stati due giornalisti, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, ad aver coniato il termine casta. Secondo il direttore de La Stampa, inserire il giornalismo nel calderone dell’antipolitica è un tentativo di annullare il suo ruolo di controllo. Sono stati proprio i giornali, infatti, a raccontare gli scandali di un’intera classe politica, senza esserne stati complici: «Troppe volte ho visto decreti legge sul giornalismo come un’intimidazione alla categoria. Oggi con Internet per i politici è più facile parlare direttamente con i cittadini, non hanno più bisogno di noi e provano a metterci da parte. Obama è quello che ha usato meglio il web per parlare agli elettori – continua Calabresi – ma è anche quello che concede meno interviste e conferenze stampa. Anche Cristina Kirchner in Argentina, per evitare le scomode domande del Clarìn, ha iniziato ha parlare direttamente al popolo, definendo questo metodo anche più democratico. E anche in Italia Grillo ha parlato tanto ma non ha mai risposto ad una domanda, non è una cosa sana».

 QUALE GIORNALISMO CON INTERNET?

Si approda poi all’atteso e inevitabile argomento: Internet. Mieli definisce il giornalismo su Internet come «anarchico e generalizzato» e non in grado di sostenere il confronto con il potere politico. In quanto direttrice di un sito web, Lucia Annunziata non può che essere di un’altra opinione: «Credo che ci siano molte leggende intorno alla rete, una di queste è che semplifichi. Invece anche il giornalismo su Internet deve essere sempre di qualità, i criteri di fondo sul modo di fare informazione non cambiano, semplicemente lo faremo con altri sistemi e mezzi».

Sulla stessa linea è anche Calabresi: «Le tecnologie non devono cambiare il giornalismo, la rete è quello che ci si mette dentro, non fa e non cambia le regole. Questo salverà il giornalismo».

LA FINE DELLA CARTA?

Sempre Mieli accende il dibattito ponendo l’esempio del passaggio on-line di un grande magazine come Newsweek, e chiede a Calabresi cosa penserà il giorno che gli diranno che La Stampa dovrà passare su Internet, abbandonando “la carta”. Il direttore de La Stampa replica con ironia: «Al signore in prima fila con La Stampa sottobraccio voglio dire di star tranquillo. Il giornale durerà ancora un po’». E dopo uno lungo scroscio di applausi prosegue: «Newsweek ha chiuso perché ultimamente faceva un po’ schifo. È il classico esempio di quelle testate che hanno affrontato la crisi solo tagliando. Secondo me un sacco di gente pensa ancora che leggere il giornale sia il modo migliore e più comodo di informarsi, e quindi credo che per adesso rinunciare alla carta sia un errore».

Simone De Caro

Da http://www.digi.to.it/ – Il magazine on line dell’Informagiovani di Torino

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